Quando conobbi mio marito Carlo, la cosa che mi colpì maggiormente era quel suo modo di guardarmi dentro ed amarmi per quello che sono, con le mie insicurezze e problematiche.

Quando conobbi mio marito Carlo, la cosa che mi colpì maggiormente era quel suo modo di guardarmi dentro ed amarmi per quello che sono, con le mie insicurezze e problematiche. Ma ancora di più mi innamorai del bisogno che aveva di occuparsi di me e dei miei casini.

All’ inizio non capii. Scambiai il suo sano modo di interessarsi a me come mezzo per un secondo fine. Non ero abituata all’ amore, avevo accusato le troppe spine nei fianchi, le avevo ancora piantate bene dentro da sentirne il bruciore. Credevo che i miei giorni finissero senza aver trovato quel gentile principe azzurro.

Mi meravigliai di come mi volesse accanto come sua completa complice di vita, di come mi vedesse bella e forte e di come avesse accettato e amato sin dal primo momento mio figlio Thomas meglio di come certi padri naturali fanno con i propri figli.

La prima volta che ci uscii a cena mi chiesi: “Agata sta succedendo proprio a te?”.

Io che avevo subito botte per cinque anni dal mio ex marito, che avevo assaggiato tutto il sapore l’umiliazione e della vergogna, che avevo permesso a mio figlio di vedere con i suoi occhi il nostro padrone malvagio che ogni sera doveva riscuotere la sua dose di auto stima infliggendomi colpi di cinghia, io che avevo asciugato le sue lacrime e provato a spiegare l’inspiegabile.

Che madre pessima che mi sentivo ogni volta che mi chiedeva perché non chiamavo il poliziotto buono che lo portasse via, quante bugie gli raccontavo, quanta spensieratezza e quanti giorni felici gli avevo rubato.

Franco aveva una bestia nel cuore e mi spezzava la schiena ed io il cuore di mio figlio che mi vedeva scappare in bagno di notte con il viso sporco di lacrime e sangue.

Un giorno, non ricordo con esattezza quando, smisi di lottare e persi la mia dignità.

Avevo abbandonato mio figlio ma soprattutto me stessa. Mi vergognavo della donna che ero diventata, mi faceva paura la mia incapacità di prendermi cura di me stessa. Anche la mia infanzia fu da dimenticare, anche mia mamma urlava nella notte quando mio padre ubriaco sfogava la sua rabbia su di lei, sono cresciuta a pane e odio, ero attaccata ad una flebo di delusione nei confronti della vita e dei rapporti d’amore.

Avevo riprodotto la stessa storia che avevo vissuto, ero diventata quella donna che avevo odiato per ciò che mi aveva fatto vivere attraverso le sue frustrazioni, quella donna per cui provavo talmente tanta pena da non considerarla una madre, ma una figlia incapace da difendere.

Fu proprio lì che mi arresi, quando vidi quanto era potente quel mostro che avevo ereditato, che mi impediva di credere che un matrimonio ed una famiglia si potesse basare su qualcosa che non fossero botte e soprusi.

Mi lasciai andare.

In quegli anni, i cinque anni più dolorosi della mia vita i miei occhi vedevano solo le ombre di un passato che non se ne andava, lo sceglievo ogni giorno come qualcosa di familiare, io sapevo essere questa, sapevo digerire solo il peggio della vita.

Ero imbottita di antidepressivi, mentivo a tutti, a i miei parenti, agli amici che non avevo nemmeno più, alle maestre che sempre di più mi mettevano alle strette promettendomi di aiutarci.

La pelle mi si alza di un palmo quando ricordo casa nostra, era diventata una grigia prigione, avevamo solo una camera da letto. Ho ancora nel naso l’ umidità che avevamo in bagno, quel piccolo bagno era diventato il nostro rifugio. Io e Thomas dopo la guerra raccoglievano i pezzi della nostra anima e ci abbracciavamo stretti sul tappetino vicino alla porta che tremava sotto i suoi pugni, aspettavamo, battendo i denti della paura e dal freddo ed io facevo sempre una preghiera, pregavo gli angeli che facessero addormentare quello scricciolo che avevo tra le braccia.

Poi un giorno toccai il fondo, sembra strano, ma ringrazio quel episodio che mi permise di aprire gli occhi. I fondi servono a farti guardare in alto verso la libertà quando sei caduto, per me è stato il primo giorno della mia seconda vita.

Io e Thomas dormivamo nel suo letto, facendo finta di essere una famiglia normale, era qualche giorno prima di Natale, ricordo ancora che prima di addormentarsi mi chiese se Babbo Natale poteva davvero regalare tutto? Non volevo illuderlo, gli risposi di no. Voleva un papà buono, che gli facesse una carezza prima di addormentarsi e che mi riempisse di fiori, voleva solo quello ed io gli avevo dato un demonio.

Alle 3:00 fui svegliata da un tonfo assordante provenire dalla cucina, poi risa, schiamazzi ed altri frastuoni.

Non so cosa mi prese quella notte, forse il mio inconscio agì da solo, forse ero ancora frastornata dal sonno e dagli psicofarmaci che non mi resi conto che in un attimo fui in cucina da lui, meglio da loro, un gruppo di uomini ubriachi.

“Franco, per l’amor di Dio, Thomas sta dormendo!”

Era una supplica, l’ennesima, ma uscì come un rimprovero, con un tono amaro.

Franco era di spalle a me, le mani appoggiate sul banco della cucina, non si giro subito, attese un paio di secondi, poi riconobbi il suo sguardo e non capii più niente.

Sentii un forte dolore alla testa, un tonfo sordo, senza rumore mi sembro che la testa mi si dividesse a metà.

Poi il buio, barcollai per alcuni secondi e caddi per terra come se non avessi più la spina dorsale. Sul pavimento della cucina mi chiesi se fossi morta, ero in un limbo sconosciuto, cercavo di aprire gli occhi ma mi resi conto che non ci riuscivo. Fu il dolore lancinante che mi pervase il corpo a darmi la certezza che per il momento non ero ancora morta, poi dalla tempia sentii il sangue bollente attraversarmi le palpebre.

Un altro tonfo, un altro colpo, ad un passo dalla morte, persi il respiro, mi arrivò un calcio in pieno stomaco, così forte che mi sentii spaccare la schiena che battè dall’altra parte della cucina.

Era arrivata la mia fine, finalmente potevo smettere di soffrire, sperai di far presto. Non meritavo la vita.

Poi mi ricordai di Thomas e provai un’immensa tristezza nel non poter morire, quel pensiero mi sconvolse e mi scosse peggio delle botte.

In uno stato di incoscienza le lacrime scesero sul pavimento mescolate con il sangue come al solito, colme di un dolore che fino ad allora non avevo mai provato. Volevo alzarmi, reagire, ma il mio corpo era stato sconfitto, rimasi lì non saprei dire quanto, forse secondi, minuti.

Poi d’improvviso sentii una vocina entrare nella stanza, mi arrivò lontana e poco chiara, ma capii subito cosa stava succedendo.

“Lasciala stare! Basta!!!! prenditela con me che sono un uomo!”

Sogno ancora di notte quelle parole, tormentano i miei incubi, le ho impresse nella mente come un tatuaggio indelebile.

Fu lì che tutto cambiò, da quella grande paura che ebbi nell’immaginare che poteva esserci il mio bambino su questo pavimento.

Cercai dentro di me, nel mio profondo la forza per aprire gli occhi, e vidi un uomo, con i calzoncini corti chiedere giustizia per una donna che nemmeno se la meritava. Uno scricciolo di coraggio che in lacrime ruggiva come un leone pieno di rabbia.

Adesso dovevo alzarmi, o avrebbe pestato anche lui.

“Per favore Franco, abbi pietà di lui, ha solo 5 anni.”

“Mamma per favore sta lì ci penso io!” sentii la sua calda mano sulla mia spalla darmi una forza così grande da farmi credere che avremmo potuto farcela.

Non dovetti sforzarmi più di tanto perché ad un certo punto successe un miracolo, bussarono alla porta di casa, prima forte, poi quasi a volerla buttare giù.

“Polizia! Polizia, aprite! Abbiamo ricevuto una chiamata, o aprite o buttiamo giù la porta!”

 

Poi di nuovo nel buio del dolore ancora la sua manina calda “Mamma te l’ho promesso, ho chiamato il poliziotto buono, ci sono venuti a salvare.” In quel momento Thomas riuscii a donarmi così tanto Amore e coraggio da non avere più dubbi sulla strada che avrei percorso appena sarei riuscita a rimettermi in piedi.

Insieme, mano nella mano, avevo portato me e mio figlio su quel fondo, alla fine di questo dolore, nessuno mi avrebbe dato la medaglia per la miglior madre del mondo, nessuno avrebbe ridato un papà a Thomas, nessuno avrebbe cancellato quei giorni tremendi, i nostri cuori sarebbero pesati più degli altri, pieni di dolore e di ferite per sempre, ma ero sicura che la fine era arrivata, Thomas mi aveva salvato la vita. La sua anima coraggiosa, più grande della mia e la sua voglia di regalarci una vita nuova ci aveva salvati, forse quella notte senza di lui Franco mi avrebbe uccisa.

“Agata, riesce a sentirmi, sono Carlo, comandante della Polizia, tenga duro l’ambulanza sta arrivando!”

Mi sembrò di vedere un angelo, mi sentii avvolta dalla sua voce così sincera e protettiva che credetti di sognare.

Carlo aspettò con me l’arrivo dell’ambulanza rassicurandomi che non avrei più visto quell’uomo, me lo promise e così fu.

Si incaricò di ogni cavillo burocratico per cancellarlo dalla nostra vita e mi donò in maniera totale e sincera il suo appoggio ed in seguito il suo Amore.

Diventò in pochi anni l’uomo che avevo sempre sognato e il padre migliore del mondo per Thomas che adesso ha 7 anni.

 

Ci fece giurare di non chiedergli niente, quando ci consegnò quella busta.

“Mi promettete che vi fidate di me?” dovetti fare giurin giurello come piaceva a lui, ci sentivamo piacevolmente coinvolti e un po’ spaventati per essere nelle mani di un bambino di 7 anni che ci stava per fare una sorpresa, alla sua insaputa però controllammo su internet cosa ci aspettava.

Era il compleanno di Carlo e ci stava mandando in un posto chiamato “Il Nido d’ Amore” dove hanno delle stanze particolarmente romantiche e chiaramente lui sarebbe venuto con noi. Finalmente avevamo una famiglia.

Decidemmo di non sbirciare altro e ci lasciammo andare al suo entusiasmo, gli brillavano gli occhi in quei giorni, era felice e si sentiva grande. Grande nel modo giusto non come quella notte.

Ci aiutò a preparare i bagagli, dandoci dritte su quello che ci serviva e su quello che era superfluo.

In macchina poi diede il meglio di sé, facendoci da navigatore, si era studiato tutta la mappa che da Roma ci portava a Torre del Lago, un piccolo paesino vicino alla Versilia.

Carlo si era nascosto il suo navigatore, tra la gamba e la portiera della macchina e di nascosto sbirciava se la strada era giusta.

Arrivammo a destinazione e Thomas si fiondò dalla macchina chiedendoci di non muoverci ed aspettare il suo segnale.

Poco dopo arrivò un ragazzo insieme a lui, lo teneva per mano, o meglio Thomas lo stava trascinando verso di noi, arrivò il suo cenno e scendemmo dall’ auto.

“Piacere Massimo” si presentò il ragazzo donandoci un sorrisone

“Carlo” gli strinse la mano, poi girò verso di me. ”E lei è Agata”

“Molto piacere” gli dichiarai.

“Prego, seguitemi!” sempre con mio figlio che saltava dall’euforia Massimo ci scortò sino alla hall dell’hotel dove ci attendevano due ragazze che con altrettanti sorrisi ci diedero il benvenuto.

Il tempo di finire il check-in e ci trovammo di fronte ad una porta.

Immaginavo cosa ci potesse essere dietro e dentro, il significato che Thomas era riuscito a darle e tutta l’emozione che era già pronta ad affiorare.

Poi piano piano la porta si aprì ed una melodia ci investii tutti quanti, quando capii che canzone fosse sentii l’emozione tuffarsi nel mio stomaco e le lacrime salire nei miei occhi come se avessero fretta a bagnarmi il viso.

Era la prima canzone che dedicai a Carlo, quella canzone che parlava di lui.

Massimo mi passò accanto e mi diede un fazzoletto facendomi l’occhiolino poi riprese un pezzo della canzone indicando Carlo “Tu, tu che sei diverso, almeno tu nell’universo…”

 

Carlo emozionato come me, forse ancora di più, stringeva la mano di Thomas, che era l’unico dei quattro che non aveva gli occhi lucidi, anzi era entusiasta come solo a sette anni si sa fare.

L’emozione che stringeva tutti e tre era piena di vissuto, di significato, ma soprattutto di Amore e felicità nella grande certezze che non ci sarebbe bastato altro nella vita, eravamo una famiglia fatta di solo amore.

Piansi, ci provai a trattenere le lacrime, avevo promesso a Thomas che non mi avrebbe più vista piangere, ma venne tutto fuori come se lì infondo al cuore non ci potesse più stare. Piansi spiegandogli che queste lacrime erano piene di felicità per quello che aveva fatto per me e per Carlo, piansi abbracciandolo più che potevo, piansi baciando quelle piccole manine così forti, piansi baciando il suo viso così pulito, così ingenuo ma così già adulto.

Finita la canzone entrò di nuovo Massimo, facendo capolino da dietro alla porta.

Entrò con un pacco e con dei girasoli, i miei fiori preferiti.

“Allora, non credo di trovare le parole per esprimere la gioia che questo ragazzo ha messo nel portarvi fin qui, mano nella mano, non trovo nemmeno parole giuste o che rendano giustizia a ciò che i miei occhi stanno vedendo, siete talmente tanto che l’unica cosa che serve ora sono gli abbracci che potete darvi.” Si fermò un attimo, poi prese per mano Thomas e Carlo.

“Questo uomo e questo bambino, è vero non c’è un legame di sangue, embè, non credo abbia importanza, ciò che vi lega è unico, non è capitato, ma è stato scelto ed è qualcosa che lascia senza parole, c’è un bambino che ha trovato un padre ed un uomo che ha trovato un figlio. Io non so se queste cose sono scritte in un progetto divino o se centra il destino, ma sono sicuro che sono testimone di un fatto serio. Oh ragazzi e questo è un per sempre!”

Lascia le loro mani piano piano e mi porge i girasoli che aveva riposto sopra il letto.

“E per te? Ma tutto questo è per te! Solo per farti sorridere.”

“Sai, non ci ho capito più nulla quando le ragazze giù mi hanno avvisato, che la sorpresa l’avrebbe fatta un bambino di 7 anni. E per cosa, per vederti solo sorridere?”

“Ma per te c’è anche questa” e tirò fuori una lettera.

“Cara Agata, ti consiglio di sederti, non so se reggeresti il colpo.

Aveva ragione.

“Chi l’ha scritta?” mi chiese.

“Thomas” risposi senza dubbio.

E allora Massimo si accomodò sulla chaise longue che avevamo in suite e con voce calda e romantica mi porto dritta nel cuore delle parole di mio figlio:

“Cara Mamma, sei la più speciale del mondo, anche se non lo sai e non ci credi mai quando te lo dico. Sei la mamma più bella del mondo quando sorridi e sei contenta, abbiamo pianto tanto insieme ora voglio solo che ridiamo, ridiamo tanto, io te e Carlo, il papà che ho sempre desiderato e che ti ho chiesto tante volte. Gli voglio bene a Carlo, ma voglio più bene a te sai, vorrei sempre abbracciarti e vorrei che ogni sera fosse come quelle degli ultimi anni, che per farmi addormentare rimani nel letto con me finché non chiudo gli occhi, mi dici che rimani a dormire con me, perché della notte ho paura, ma lo so che mi dici una piccola bugia, perché quando mi sveglio di notte non ci sei, ma mi lasci il mio pupazzo preferito e la lucina accesa e allora sono contento.

Oggi è il compleanno di Carlo, ma mi sembrava giusto fare un regalo a tutti e tre, ho organizzato tutto io mamma, sono stato bravo?”

Con il cuore in fiamme e le lacrime che sembrava non finissero mai corro verso mio figlio e lo bacio con tutto l’amore che possiedo in cuore.

“Non ti farò più soffrire” gli sussurro.

“Smettila di piangere” mi sussurra lui.